La Luce del Maestro – Bogdan Groza

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Oggi dedichiamo la nostra pagina allo scrittore italo-rumeno Bogdan Groza, la cui biografia segue il racconto qui pubblicato. Bogdan, scrittore emergente nel panorama della letteratura contemporanea internazionale, scrive in diverse lingue collezionando pregevoli riconoscimenti. Abbiamo deciso, dunque, di scegliere il suo racconto “La Luce del Maestro” per contribuire alla divulgazione di un talento che merita la massima attenzione.

È la storia di un Maestro e del suo Discepolo; in un mondo diverso, forse ideale o forse idealistico, la narrazione seguirà il rapporto dei due personaggi nell’arco delle loro vite, fino a quando la ciclicità del tempo farà sì che l’allievo prenda il posto dell’insegnante.

Grazie Bogdan! Congratulazioni!

arteculturaitalopolacca

 

La luce del Maestro

 

La tanto attesa ora del tramonto era giunta. Per quel breve frammento del giorno il Maestro poteva svolgere il suo lavoro di maggior precisione e minuzia. L’ingegnosa fornace teneva alla temperatura di fusione i metalli pregiati e lui, con i suoi strumenti era pronto per continuare il suo “dipinto”.

Era un mondo bizzarro quello, un reame che aveva seguito il proprio progresso secondo una filosofia completamente inattesa. Non erano i soldi ed i beni a governare i cuori delle persone, bensì le loro passioni. Il concetto di Stato era diventato obsoleto e le guerre non erano mai esistite. Il concetto stesso di identità nazionale non si era mai sviluppato. Forse una delle cose più incomprensibili e bizzarre era l’inesistente crescita demografica e anche se l’esiguo numero di persone che componeva la popolazione poteva risultare fonte di gravi preoccupazione e problemi sulla carta, nella realtà l’equilibrio che si era creato persisteva da epoche antiche.

La coincidenza che rendeva incredibile l’equilibrio che si era creato è che ogni generazione manteneva lo stesso identico rapporto proporzionale con le possibilità di lavoro: ogni anno lo stesso identico numero di agricoltori, lo stesso numero di insegnanti, lo stesso numero di medici. Ciò valeva persino per le vocazioni di carattere artistico: mai ci fu una sovrabbondanza di pittori o di musicisti. Drammaturghi, commediografi, poeti, scrittori, ogni generazione ne forniva lo stesso preciso quantitativo. Non si spiego mai il perché questa proporzione funzionasse in tal maniera, e non ci si provò nemmeno; questo mondo così pragmatico aveva agito semplicemente secondo la legge naturale, adattandosi. Con il tempo aveva collaudato un metodo di tramandare la conoscenza che funzionava sulla regola dei due: un insegnante e un pupillo. Il maestro istruiva l’allievo e assieme a questo vedeva come apportare miglioramenti. Considerando la mancanza di guerre, la maggior parte di questi lavori diventavano piaceri e visto che inoltre rappresentavano le vere vocazioni di ognuno dei costituenti della società, a livello personale erano più come dei passatempi che degli obblighi.

Spiegare la politica e l’economia di un simile sistema sarebbe facile quanto sarebbe scontato: ad un certo punto del’progresso ci sono determinati fattori ed espedienti che diventano superflui o addirittura che cadono in disuso – e questo era proprio ciò che era avvenuto. Proprio come i tasselli di un domino, quando si stabilì l’equilibrio della popolazione, anche le soluzioni di tutti i problemi erano stati conseguiti in un modo quasi automatico.

L’allievo, che aveva trascorso già buona parte del tempo ad osservare l’artista, con imbarazzo gli chiese:

-Maestro, può dirmi perché è esattamente questo intervallo di tempo ad essere così importante per noi?

– È solo grazie a questa luce se riusciamo a cogliere l’essenza dei colori.

– Può essere più chiaro?

-Vedi, mio giovane Discente, la luce è importantissima per la nostra arte: i colori che percepiamo spesso e volentieri possono ingannare i nostri occhi. È la luce che filtra attraverso questo vetro speciale, dalle sei alle otto del meriggio, più o meno tenendo in considerazione la stagione, che ci permette di cogliere la vera natura dei metalli, la loro essenza se vogliamo dirla così.

-Prima parliamo di colori e poi di metalli. Cioè, capisco che usiamo i metalli per ricavare i nostri dipinti, ma quante gradazioni di colore ci possono essere?

-Quanti i granelli di sabbia di un deserto, ma è solo molto più tardi che arriverai a capirlo.

-Quanto i granelli? Aspetti… ehhh… l’essenza del metallo? Cos’ha detto sulla luce?

-Oh, quante domande per il tuo primo giorno. Ti ricordo che abbiamo molto, molto tempo a nostra disposizione. E la prima lezione che ti dovrò insegnare, così come il mio Maestro insegnò a me, è la pazienza.

-Ma…

-I “ma”, i “però”, e le obbiezioni in generale, sono per quelli che hanno qualcosa da dire e non domandare. Stai pur sereno che verrà il tempo che tu insegnerai a me, ma prima di tutto sei tu a dover imparare.

-Non è giusto, ci sono così tante cose!

-Cos’ho detto?

-Ma…

-Per oggi va’ a casa. Domani, se mi darai ascolto meglio, inizierò ad insegnarti.

La fermezza nella voce del Maestro, nonostante lo sguardo bonario, colpì il giovane che si sentì costretto ad obbedire.

***

I giorni passavano velocemente, il ragazzo andava ogni giorno dal Maestro e costantemente si impegnava per fare tutto quello che questi gli diceva. Lo studio proseguiva sistematicamente ma con calma. Forse chiamarlo studio sarebbe improprio, il rapporto che si era creato era quasi quello di un apprendistato, ma forse persino quello è un termine usato malamente. Parlando sempre di termini di ardua definizione, la professione stessa del Maestro sarebbe difficile da inquadrare con un solo termine. Sarebbe molto più giusto identificarlo con un amalgamato di vocaboli: orafo, pittore, alchimista, miniaturista, inventore, gioielliere. Forse un termine che potrebbe racchiudere tutti questi concetti in uno sarebbe quello dell’artista, ma era una parola che l’umiltà del Maestro non apprezzava.

La sua antica arte, tramandata fino a lui, consisteva nel creare dei “quadri” usando per lo più metalli pregiati, oppure leghe e metalli comuni e occasionalmente era persino previsto l’uso di gemme e pietre preziose per dare risalto all’opera. Considerando i materiali a sua disposizione non ci si potrebbe aspettare di avere delle grandissime produzioni, soprattutto ad un livello cromatico. Oro, argento, bronzo, ad un certo punto la gamma dei colori finisce e ci si aspetta molta più liberta di scelta da parte di un pittore. Inoltre se si considera anche la difficoltà di lavorare con materiali che prima devono essere portati ad una temperatura esorbitante, non ci si aspetterebbe molto dal punto di vista del risultato finale. Ed era proprio qui che stava l’unicità della sua arte: nonostante tutti gli aspetti difficili, i quadri e tutte le sue opere avevano una tale minuzia per i dettagli e una tale diversità di sfumature che sembravano quasi dei dipinti autentici.

Poi certo, ad aggiungere all’unicità complessiva era anche il fatto che letteralmente  si trattava dell’unico che praticava quell’arte. In un mondo talmente bizzarro, nel quale era quasi impossibile fuorviare dagli schemi generali, perché per il caso ogni generazione disponeva del rapporto perfetto di domanda e offerta di lavoro per non avere mai ne eccessi ne difetti, era riuscita ad affermarsi una forma d’arte così particolare, che si potrebbe definire quasi eccentrica.

A rendere la cosa ancora più interessante era la regola non scritta di quel mondo a far si che ogni volta che l’allievo arrivava a rimpiazzare il predecessore, un nuovo apprendista si presentava sulla sua soglia della porta, pronto per imparare.

-Allora Discente, oggi cosa ti insegno.

-Qualsiasi cosa abbia la pazienza di insegnarmi Maestro. – disse abbassando la testa in una riverenza.

-Vedo che finalmente stai apprendendo l’umiltà. Sono contento dei tuoi progressi.

-La ringrazio.

          -Direi che ormai sai tutto quello che c’è da sapere sui vari strumenti del laboratorio. Riusciamo a fare un ripasso?

          -Certamente Maestro. Da dove vuole che inizi?

-Iniziamo dai materiali più importanti: quali sono i nostri colori, insomma le nostre tempere?

-Noi usiamo i metalli per la nostra arte. Possono variare dal più umile e comune, come stagno o zinco, al più pregiato e raro, come oro purpureo o argento smeraldino. Vuole che faccia la lista completa?

-No, non è necessario. Dimmi invece qual è la nostra tela, giusto per proseguire con l’analogia.

-Generalmente usiamo una lamina spessa di ebano che considerate le sue priorità si brucia leggermente e assorbe i metalli e facendo si che a lungo andare essi non cadano o si deturpino. Inoltre si sono usati altri tipi di legno, quali pino o faggio, e talvolta ricoperti di resine speciali.

-Bene, cos’hai da dire sopra tavolozza dei colori?

         -Usiamo una fornace che viene sempre riscaldata per tenere i metalli in uno stato costante di effusione. La temperatura è mantenuta generalmente da un’intricata rete di specchi ch condensano la luce solare, anche se la fornace è anche munita di una fiamma interna. Il fuoco riscalda la parte centrale di una piastra piena di tipi diversi di sabbia, che isolano termicamente i metalli in modi diversi. Nel centro della piastra ci sono i contenitori con i metalli che hanno punto di ebollizione più alti, questo sia perché sono nel punto più vicino al fuoco sia perché sono circondati da sabbia finissima che isolano perfettamente il calore. Più andiamo verso l’esterno e più troviamo materiali che hanno bisogno di minori temperature e quindi anche la sabbia diventa più granulare e grossa.

          -E i pennelli?

-Come i grandi poeti anche noi usiamo delle stilografiche, solo che le nostre, oltre a essere fate in modo tale da condurre meno calore possibile, hanno anche un raccoglitore speciale che viene riempito del metallo, ossia del colore, che utilizziamo in quel momento.

-Direi che non potevi essere più esauriente di così. Ma dimmi una cosa, siamo arrivati a parlare dell’importanza della luce?

-Veramente ancora no Maestro – disse il Discente con un l’imbarazzo nella voce fissando un punto fisso per terra – vede, era una delle prime domande che le avevo fatto.

-Forse è venuto il momento di risponderti allora.

***

I mesi passavano, le stagioni cambiavano, il ragazzo cresceva in altezza e il Maestro in numero di peli grigi nella barba. Le rughe iniziavano a solcargli il volto, ma il suo sorriso benevolo rimaneva quello di un tempo; mai una volta aveva sgridato il suo apprendista, in parte per la sua indole e in parte per l’obbedienza dimostratagli da quest’ultimo. Ormai il Discente sapeva cosa doveva fare e non aveva più bisogno di disturbare il suo insegnate per capire come svolgere i suoi compiti. Ciò non voleva tuttavia dire che il Maestro non aveva ancora molto da insegnargli. Ogni giorno rappresentava una nuova lezione: quando usare un metallo piuttosto che l’altro, la postura corretta, l’inclinazione della mano e via dicendo. Ma il Maestro non si fermava qui: il suo compito non era solo quello di tramandare al Discente la sua arte, ma aveva anche una funzione educativa fondamentale nella vita del giovane. Quando andavano insieme a comprare i metalli veniva spiegato come interagire con il resto del mondo. Le maniere erano molto importanti per il vecchio e il rispetto era una disciplina essenziale. In seguito alle compere fatte presso i vari mercanti, la maggior parte vecchi amici del Maestro con a proprio carico apprendisti della stessa età del Discente, solevano fermarsi per il tè e per dei dolci. Qui venivano impartite altre lezioni, la pazienza e lo stato d’animo da avere mentre si sorseggiava il tè, la calma e la gentilezza del sorriso. Non c’era giorno senza un sorriso gentile alla cameriera che portava la bevanda bollente, non c’era giorno nel quale ci si poteva permettere di essere troppo sovrappensiero per non ringraziare e non c’era giorno nel quale dimenticarsi di riportare le tazzine e la teiera nel locale augurando ai gestori un buon lavoro e salutare con una piccola riverenza. Così, quando il giovane raggiunse la maturità, poteva essere considerato un degno membro della società, con particolare enfasi sulla Dignità inteso rispetto verso il prossimo, centrale secondo il Maestro.

-Maestro, posso chiederle a cosa sta lavorando da un po’ di tempo a questa parte?

-Cosa intendi?

-Vede, quando mi dice che è l’ora di andare a casa, lei rimane sempre un’altra oretta nel laboratorio. Immagino lei continui a lavorare a qualche progetto.

         -Non sapevo facessi anche l’apprendista di un detective nel tempo libero.- disse il vecchio con un sorriso bonario sulle labbra.

Il ragazzo arrossì leggermente.

-Vede, non volevo insinuare… la curiosità ha preso la meglio. Chiedo scusa.

-Non ti preoccupare. Il tuo desiderio di sapere è sintomo di una mente aperta. Questo è qualcosa che ti rende solo onore.

Il rossore divenne quasi purpureo.

-Se arrossisci ancora un po’ penserò di avere un pomodoro come apprendista – iniziò a ridacchiare il Maestro. Tuttavia, sì, hai ragione. Sto lavorando ad un progetto, ma per il momento ciò ti dovrà bastare. È un lavoro complicato per il quale mi ci vorrà molto tempo. Solo quando sarà finito lo potrai vedere.

-Capisco – sentenziò il giovane inchinando il capo.

-Cambiamo argomento piuttosto. Vuoi essere così gentile da lavare i vetri? Temo che per la sporcizia in questa stanza c’è sempre meno luce, e sai bene quanto ci serve per lavorare.

-Maestro, non voglio contraddirla, ma li ho lavati due giorni fa e la luce filtra senza problemi come la prima volta che misi piede in questa stanza.

Il vecchio sembrò esitare per un secondo, fu l’unnica volta che il ragazzo vide quasi il sorriso sparirgli dal volto. Poi riprendendosi, come se niente fosse, disse ridacchiando:

-Hah, i miei occhi mi stanno facendo uno scherzo allora!

-Maestro, forse dovrebbe prendere dei giorni per riposare, potrei sbrigare io le faccende per un po’.

-Sciocchezze, sciocchezze! Sto bene. Continuiamo pure con le nostre faccende. Poi, tu hai ancora molta strada da fare e io non ho ancora finito le cose da insegnare.

***

Gli anni passavano, la barba bigia del Maestro iniziava a diventare lunga e il giovane ormai era diventato adulto, un vero e degno uomo a tutti gli effetti. Il tempo non era stato poi così indulgente, aveva portato con se molti amici del vecchio e aveva cancellato molte cose, ma non era riuscito a estinguere quel sorriso pieno di bontà; quello era rimasto costante sul volto ormai raggrinzito. Tuttavia gli occhi del Maestro avevano dovuto pagare il loro pegno: l’intensa luce del sole e le condizioni del lavoro avevano sempre più logorato la sua vista e alla fine la cecità era giunta inesorabilmente. Tutto quello che era rimasto erano due perle opache, due biglie di vetro bianche, al posto degli occhi vigili di un tempo.

-La aiuto a sedersi, Maestro.

-Sciocchezze, sarò anche ceco, ma ti ricordo che ho vissuto in questo laboratorio per tutta la mia vita. Non esiste angolo o crepa che io non conosca.

-Certamente Maestro.

-Mio Discente, dopo tutto questo tempo, finalmente hai imparato tutto quello che c’era da imparare.

-Come mi ha sempre detto, c’è sempre qualcos’altro da apprendere.

Il vecchio iniziò a ridacchiare:

-Ha-ha, vero, vero. Ma ora è finalmente giunto il momento che tu risponda alle mie domande, così come io risposi alle tue quando eri mio allievo.

-Maestro, io non cesserò mai di essere suo allievo.

-Basta con i complimenti. Vediamo, se ben ricordo una delle prime domande che mi feci riguardava l’importanza della luce per il nostro mestiere. Ora sapresti tu stesso darti una risposta?

-La luce è centrale per il nostro processo. Essa ci rende vividi i colori, essa ci tiene alla temperatura giusta i metalli, essa ci circonda. La luce del meriggio inoltre, quei teneri raggi di sole che arrivano nella finestra sopra il banco del lavoro, convergono per darci il massimo della chiarezza; è con questa che il nostro quadro si può vedere per quello che è, è con questa che si può apprezzare la vera bellezza della nostra arte.

-Interessante…

-Però…

Il vecchio rimase incredulo a sentire una delle parole che gli aveva insegnato di non usare. Una di quelle parole che potevano usare solo quelli che avevano qualcosa da impartire, o qualcosa di arguto da dire.

-Però Maestro, e non lo dico a cuor leggero, la luce è anche quella dei nostri occhi. Occhi che a noi servono per lavorare. Quella che ho finito di descrivere è la Luce Amica, quella che ci guida giorno dopo giorno e ci migliora il lavoro. Ma è anche la stessa a formare la Luce Nemica; questa è quella che giorno per giorno logora i nostri occhi e alla nostra vecchiaia finisce inevitabilmente per toglierci il nostro miglior attrezzo lavorativo.

-Finalmente è arrivato il momento – disse il vecchio – e dimmi, perché accettiamo questa Luce Nemica, come la chiami tu? Perché facciamo questo sacrificio?

          Bogdan Groza-È proprio questa la bellezza Maestro. Il contrasto del concetto stesso. Non sono due face della stessa medaglia, come la luce e l’oscurità, bensì due aspetti contrastanti della stessa faccia, che tuttavia vivono in armonia. Per noi questo non è affatto uno sacrificio, può piuttosto definirsi uno scambio, ed uno anche molto vantaggioso per noi. È qualcosa che ci permette di…

Il Discente fece una pausa, raccogliendo i suoi pensieri.

Il Maestro gli chiese cortesemente a proseguire.

-Scusi Maestro, vede è un concetto talmente difficile da riuscire a descrivere che mi mancano quasi le parole. Quella che sto cercando di esprimere è una bellezza ed un apprezzamento che vanno oltre ogni parola che potremmo cercare in un dizionario. È un sentimento che trascende ogni realtà, un apprezzamento della vita e di quello che si sta facendo che ci permette di amare la vita per quello che è; e forse anche, in modo effimero, di capire la vita per quello che è.

Il Maestro sorrise.

Per un momento il tempo si fermò: come se quell’istante fosse stato perfettamente sigillato in una piccola biglia di vetro. Poi il maestro ispirò a fondo, senza amarezza, provando un calore che fino a prima non aveva mai sentito. Disse al suo Discente:

-È finalmente arrivata l’ora nella quale il proverbiale allievo superi il maestro. Non ho parole per descrivere l’orgoglio e la gioia che sento per te, proprio per questo lascerò che sia il mio lavoro a parlare al posto mio. Nel mio ufficio c’è qualcosa per te. Vai e prendi il pacchetto che sta nel primo cassetto della scrivania.

Il Discente obbedì e pochi istanti dopo stava davanti al vecchio con un involucro di velluto rosso in mano. Toltovi il telo che lo avvolgeva, si scopri un quadro lavorato in metalli pregiati. L’opera raffigurava tre persone. A sinistra un uomo che l’allievo non conosceva e che poggiava la mano sulla schiena del Maestro; questi nel frattempo porgeva con la mano delle chiavi al Discente. La finezza del lavoro e la precisione artistica con cui era stato eseguito non lasciavano dubbi sulla superiorità dell’artista.

-Questo – iniziò a parlare il vecchio – è il progetto a cui stavo lavorando quando tu me lo chiesi molti anni orsono. A sinistra c’è il Maestro del tuo Maestro, che mi insegnò l’arte proprio come io ho fatto con te. Le chiavi, che devi staccare dal quadro, sono quelle del laboratorio. Ora tutto questo è tuo, hai dimostrato di esserne all’altezza. Tutto quello che devi fare ora e aspettare che un allievo bussi alla tua porta, così come tu, molto tempo addietro, hai fatto alla mia. Con questo, l’unica cosa che mi rimane da dirti è Grazie, perché così come tu hai appreso da me, io ho appreso da te.

Le lacrime imperlavano le guance del Discente. Non disponeva di termini per ringraziare il suo Maestro, poteva solo sentire un sentimento di gratitudine che lo avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.

 

Biografia

Bogdan Groza, nato in Romania e trasferito in Italia all’età di dieci anni, studia Lingue e letterature europee e americane alla facoltà di Padova. Ha pubblicato alcuni racconti e poesie in diverse antologie italiane nonché scritto testi in altre lingue. Ha vinto il primo premio per la sezione di poesia in lingua inglese del concorso Lord Byron Porto Venere Golfo dei Poeti con la poesia DesertEnd il 2018 ed il primo premio per il concorso “Dal passato per il futuro” Memorial Prof. Alessandro di Cristinzi del 2019, sezione inglese, con il racconto A perpetual moment.

 

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