PER ANDARE DOVE? di Massimo Gerardo Carrese

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le parole della fantasiologia[1]

«La fantasia stupisce perché l’essere umano non è biologicamente abituato a essere meravigliato: sapere che una persona ti stupirà porta quella persona a essere prevedibile. Non siamo fatti biologicamente per lo sbalordimento. Una persona che ti ha stupito sai già che la prossima volta potrà sorprenderti ancora, e questo la rende scontata perché crea non più stupore ma prevedibilità attraverso la sorpresa. […] Non avere la pazienza di aspettare la meraviglia è un comportamento tipico del potente che vuole gli altri simili a come se li immagina. La fantasia si muove continuamente, miscela e frammenta. Le visioni si materializzano, hanno continuità, diventano realtà. La fantasia può essere tangibile ma non è un’ideologia, è una dimensione, diventa banale quasi sempre per problemi di censura; siamo oppressi da film, opere teatrali noiose, imposte dagli esperti ad autori compiacenti. Siamo circondati da persone che bramano che ognuno sia uguale a come lo si vorrebbe.»

Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Clamori al vento

«L’umanità è come un bimbo che cresce e scopre con stupore che il mondo non è solo la sua stanzetta e il suo campo giochi, ma è vasto, ci sono mille cose da scoprire e idee da conoscere diverse da quelle fra le quali è cresciuto. […] Ma più scopriamo, più ci rendiamo anche conto che quello che ancora non sappiamo è più di quanto abbiamo già capito. Più potenti sono i nostri telescopi, più vediamo cieli strani e inaspettati. Più guardiamo i dettagli minuti della materia, più scopriamo strutture profonde. Oggi vediamo quasi fino al big bang, la grande esplosione da cui 14 miliardi di anni fa sono nate tutte le galassie del cielo; ma già cominciamo a intravedere che c’è qualcosa al di là del big bang.»

Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare

Percezione (percepire)

È un processo psichico complesso che mi fa prendere coscienza della realtà, cioè di tutto quello che è fuori da me. Guardo la figura:

Mi chiedo: «Che cos’è?». È una palla da basket. La riconosco. Ne ho memoria. Ne comprendo forma e colore e ne ricordo la dimensione. La percezione, che raccoglie informazioni anche sullo stato del mio corpo, qui mette in contatto l’esterno con i miei sensi umani[2], e viceversa (anche quando non conosco la cosa che percepisco). Questa figura è la rappresentazione di una palla da basket che conosco nella realtà. L’ho vista nei campi da basket, in televisione, nei negozi, in fotografia, a casa di amici e a casa mia.


Associazione (associare)

È la facoltà che si riferisce al mio modo emotivo di sentire il mondo. Guardo la figura e mi chiedo: «Che cos’è per me?». Associare vuol dire mettere in relazione l’oggetto con me, una connessione volta a far risuonare il mio mondo interiore. Una relazione tra l’esterno e l’interno, e viceversa, che è contatto emotivo con il mondo. Guardo la figura e penso alla mia adolescenza, a quando giocavo a basket.

Facoltà importantissima al nostro vivere quotidiano e alla nostra sopravvivenza, la percezione legge le cose del mondo sul piano della competenza («Che cosa è?»,«Come si chiama?»). L’associazione, invece, attiva il piano emotivo («Che cosa è per me?», «Che cosa mi ricorda?») e riguarda l’educazione, che vuol dire “tirar fuori” (etimo di educare). Il mondo oggi chiede tecniche prestazioni e meno coinvolgimenti, così leggiamo la vita più per competenza che per educazione.

Immaginazione (immaginare)

È la facoltà delle immagini mentali e trattiene le forme[3]. Mi chiedo: «Com’è fatta nella mia mente l’immagine della palla da basket?» Le immagini mentali provengono dall’esperienza dei nostri sensi – anche quando visualizziamo mentalmente contesti irreali: le singole parti che si combinano a formare il fittizio arrivano sempre dalla nostra esperienza. Se visualizziamo con attenzione una stessa immagine mentale questa avrà, ogni volta che la richiamiamo, sfumature variabili. L’immaginazione non è imitazione, arida riproduzione: le immagini mentali sono mutevoli.

Inizio a vedere la palla da basket con gli occhi della mente. Perché con la mente se posso osservarla dal vero? L’immaginazione avviene in assenza[4] (totale o parziale) all’oggetto percepito e mi invita a capire in che modo conosco il mondo. In altre parole, posso sapere che cos’è una palla da basket (percezione) e come risuona in me (associazione) ma come si conserva nella mia mente la sua immagine? Rispondere a questa domanda è fare un esercizio di immaginazione. Se provo a descrivere a parole o a disegnare una palla da basket, che sostengo di conoscere bene, potrei scoprire che non è per nulla così, che mentre immagino la palla da basket per esempio non so che disposizione abbiano le linee nere sulla sua superficie: se compongono una precisa forma geometrica o se sono linee disposte casualmente. L’immaginazione mi aiuta a completare la conoscenza che ho di me e del mondo[5], del modo in cui si conservano in me le sue informazioni.

Con l’immaginazione metto in azione l’immagine che di quell’oggetto conservo nel mio cervello e ne esploro mentalmente le parti. A volte queste investigazioni rivelano immagini nitide, altre volte confuse.

L’immagine non è una figura nel cervello ma un’informazione che lo stesso cervello rielabora e che mi mostra come se fosse figura[6].  Se mi concentro[7], riesco persino a far ruotare nella mia mente la palla da basket[8], a sentire il suono dei suoi rimbalzi. Il colore arancione non lo vedo chiaramente mentre sono piuttosto netti i piccoli rilievi di gomma sulla sua superficie. La mia personale esperienza mi permette di visualizzare mentalmente e quasi in ogni dettaglio la palla da basket. Al contrario, avrei potuto fare delle congetture e sottoporle poi a verifica con l’osservazione dal vero. In entrambi i casi, l’immaginazione è conoscenza.

L’immaginazione non è solo un’attività che resta nella mente ma la posso condividere in espressioni esterne, la posso dimostrare, per esempio mostrandola a me stesso e agli altri con una bozza di disegno. Le immagini mentali sono combinazioni provvisorie e la memoria (che è l’archivio dell’immaginazione) non sistema stabilmente le informazioni come fa un computer (altrimenti non sarebbe degenerativa) ma ogni volta che richiama un ricordo, essa lo ricrea[9].  La memoria è un processo creativo[10]. Di conseguenza, anche l’immaginazione.

Fai un esercizio. Prova a immaginare come sono disposte le linee sulla superficie di una pallina da tennis. Che disegno geometrico formano? Quante linee ci sono? Che colore hanno? Qual è la differenza con quelle sulla palla da basket? Fai la stessa cosa con un bicchiere, com’è fatto? E ancora: che volto ha il tuo migliore amico?; e tua moglie?; il tuo fidanzato? Scoprirai che immagini le cose e le persone in modi inaspettati.

 

Fantasia (fantasiare)[11]

È la facoltà che si occupa di trovare alternative. Ricombina le immagini mentali[12] e dà a esse possibilità[13]. La fantasia non accade solo nella nostra mente ma dalla nostra mente può uscire e condensarsi all’esterno, può oggettivarsi, grazie a una dimostrazione che, seppur provvisoria, risponde alla domanda: «Che altro può essere una palla da basket?». Sarà compito della creatività, lo vedremo più avanti nel testo, rendere definitive le combinazioni provvisorie della fantasia e dell’immaginazione.

Anche la fantasia, come l’immaginazione, si muove in assenza perché va di là dell’oggetto percepito da cui tiriamo fuori possibilità che ancora non sono evidenti. La fantasia si può favorire creando ambienti appassionanti ma non si può insegnare perché dipende dalla nostra cultura, educazione, contesto sociale….

La fantasia interrompe una consuetudine perché non guarda più l’oggetto per ciò che è (una palla da basket) ma a tutto quello che potrebbe essere/diventare. Quando rintraccio una possibilità in un oggetto, questa non vaga nella mia mente come fosse un fantasma senza trovare una via d’uscita (altrimenti sarebbe una fantasticheria) ma la mostro obiettivamente a me stesso e agli altri. La dimostro facendo relazioni tra tutto ciò che conosco. Più cose conosco, con una certa consapevolezza e spirito critico, più relazioni posso fare (e più intriganti saranno le mie fantasie). La fantasia, come l’immaginazione, è conoscenza.  

Per esplorare le possibilità devo infrangere quella logica che dice che A è solo A e non può essere non A. Un bicchiere è solo un bicchiere e non può essere un non bicchiere. Non è semplice incidere questo tipo di logica. A molti intimorisce farlo perché si spalancano le porte dell’ignoto e l’ignoto spaventa perché imprevedibile. So che cos’è un bicchiere ma che cos’è un non bicchiere? Che cosa diventa? Forse un portapenne? Un’arma? Un gioco? Una scultura? Se intacco questa logica non vuol dire che procedo secondo insensatezza ma che guardo il mondo e le cose del mondo con altre logiche, da altre prospettive, dalla prospettiva dell’anche. La congiunzione anche è un concetto interdisciplinare «[…] che abita la facoltà della fantasia e vive in quest’espressione: ‘una cosa (parola, oggetto, numero, suono) non è solo quella cosa ma ANCHE altro’. L’ANCHE apre alle possibilità, da condensare in un risultato tangibile[14]

La mia pallina da basket può diventare anche un binocolo (senza rompere la pallina…)[15]. È la disposizione delle linee nere sulla pallina a farmi realizzare questa possibilità. Con una pallina da basket tra le mani posso creare la forma di un binocolo e, più immediatamente, se osservata come in figura

 

intravedere la lingua di un cane (tra l’altro, il modello di pallina in foto è usato per far giocare gli animali domestici, in particolare i cani). La lingua di un cane, da dove è nata quest’intuizione? Dalla parola “pallacanestro” che conserva al suo interno la parola “cane” (“pallaCANEstro”) e da qui mi sono chiesto se era possibile trovare un “cane” non solo come presenza linguistica in “pallacanestro” ma anche come presenza anatomica sulla pallina da basket. Sembra una riflessione insensata ma…ad aiutarmi nella pratica, ancora una volta, sono state le linee nere presenti sulla palla da basket. Guardate la pallina in figura, riuscite a vedere la forma della lingua di cane? Su ogni pallina ci sono quattro lingue!

La mia fantasia qui si muove per analogia e posso condividere la mia possibilità con gli altri. La mia fantasia, che dimostro, trova spazio nella realtà. Nell’individuare la lingua di cane su una pallina da basket c’è in gioco la fantasia e, insieme, la percezione, l’associazione, l’immaginazione, la creatività, la fantasticheria. La lingua di cane sulla pallina da basket (o su qualsiasi altra misura di palla da basket) è una possibilità che nasce dalla mia voglia di scoprire il mondo e dalla mia necessità di metterlo in dubbio. Dubbio, dal lat. Dúbium da dúo ‘due’[16]. Il mio concetto dell’anche rappresenta il dubbio (due) giacché sostiene che una cosa è quella cosa e pure un’altra.

La pallina da basket che metto in dubbio è un gioco determinato dal caso (quello di avere tra le mani una pallina da basket e non un altro tipo di pallina) e dalla regola (sapere che cosa guardare: la forma geometrica delle linee e il nome della pallina). La fantasia non è solo caso ma anche regola. Bruno Munari scriveva: «La combinazione tra regola e caso è la vita, è l’arte, è la fantasia, è l’equilibrio[17]».

La fantasia ha una propria logica, fatta di funzioni provvisorie il cui vigore dipende solo dal mio modo di essere e di curiosare. La fantasia non è in conflitto con la logica comune ma è l’altra sua faccia[18]: non è antitesi della realtà[19] (quella, semmai, è la fantasticheria), della razionalità[20]. Nel parlare comune si dice che i bambini, e loro stessi lo affermano[21], hanno più fantasia degli adulti ma questa fantasia è molto spesso confusa con le caratteristiche che invece sono proprie della fantasticheria….[22]

 

 

Creatività (creare)

A differenza della fantasia e dell’immaginazione, la creatività[23] può essere insegnata perché collegata al fare, al metodo progettuale, al modo tecnico. Pertanto, la creatività si può insegnare mentre si può educare alla fantasia e all’immaginazione, in senso etimologico[24]. L’immaginazione e la fantasia esplorano in assenza e mostrano combinazioni provvisorie, cioè le immagini mentali e le possibilità sono sempre in costruzione, fin quando la creatività non stabilisce le combinazioni più appropriate allo scopo progettuale e le determina con tecnica e originalità[25]. La creatività agisce in presenza perché ragiona sull’oggetto e non al di là di esso. Creare vuol dire fare[26]. La creatività è uno sviluppo solitario ma il risultato è condivisibile collettivamente attraverso le fasi di un processo creativo, che va dalla progettazione di un’idea ancora in formazione alla comunicazione di un’idea definita, di un prodotto concluso. La creatività è tecnica, cioè un insieme di pratiche basate su regole, istruzioni pronte all’uso come a) il metodo per costruire, da una pallina da basket, un’automobile e accessorio in 3D; b) per formare il gesto di un binocolo; c) per vedere la lingua di cane come descritti nel mio laboratorio fantasiologico Vista – Gesto – Moto (2020).

La creatività è l’uso tecnico e finalizzato della fantasia e dell’immaginazione, della percezione, dell’associazione e della fantasticheria. Mi chiedo: «Come definisco tecnicamente la mia creazione e quanto è originale?». La creatività sottopone a verifica un’idea e la valuta sul piano economico, sociale, culturale, psicologico. Se ho trovato nella pallina da basket una lingua di cane, un binocolo, un’automobile con accessorio, mi domando: «A che cosa mi servono queste possibilità? Come comunicarle all’altro? Posso impiegarle in ambito didattico? Sono opere originali? La lingua di cane, il binocolo, l’automobile sono verificabili con tutte le palline/palle da basket o solo con alcune?» La creatività unisce in modo inedito elementi noti al fine di creare qualcosa di nuovo, utile ed eticamente corretto. Nel caso specifico, con una pallina da basket ho strutturato un gioco fantasiologico su come costruire la forma di un binocolo, un’automobile con accessorio in 3D e come rintracciare una lingua di cane esemplificata in questa figura in basso[27]. La creazione dovrà essere nuova e utile per me e/o per la società[28]. Creatività è tecnica e originalità.


Le idee non arrivano dal cielo né si generano dal nulla. Lucrezio ne scriveva già in La natura delle cose[29]. Ancora non sappiamo che cosa siano le idee[30] ma abbiamo capito che nascono dallo studio e ricerca – l’insight, l’improvvisa illuminazione che sembra arrivare dal niente, è il risultato differito proprio dei nostri studi e ricerche. Nascono dal coraggio di persistere in uno scopo; dalla fortuna – non è secondario il fatto di trovarsi al momento giusto e nel periodo storico giusto!; dall’acutezza di saper leggere gli eventi quando si mostrano a noi: le idee nascono anche per caso e per serendipità[31]. Il creativo propone qualcosa che nessuno ha mai visto prima di quel momento. Un’idea o un oggetto, che non ha confronti con il passato. Che non è presente nella storia dell’umanità. «La creatività è rispondere a una domanda che non è stata posta[32]». È il tempo storico a dire se un’opera è davvero creativa: la storia dell’evoluzione umana è piena di idee scartate perché in un dato momento considerate inutili o folli e poi capite e riprese con entusiasmo. In generale, la creatività rompe le certezze acquisite, irrompe nella sedentarietà della cultura. Creatività è progresso (non sempre sostenibile o alla portata di tutti, ma quest’ aspetto meriterebbe un discorso a sé). Le persone non amano riequilibrarsi dopo che si sono abituate, talvolta per secoli, a un modo di fare e alle tradizioni culturali perciò guardano spesso con diffidenza al nuovo perché, appunto, non lo riconoscono e non possono valutarne l’efficacia. Chi investe in creatività non punta allo sbaraglio ma elegge la fantasia e l’immaginazione a strumenti di ricerca e a processi di sviluppo e non più a sole attività di svago e di ricreazione, come troppo spesso sono intese.

È dal vecchio che nasce il nuovo. È dalla combinazione inedita del noto che si crea l’originale. Da cosa nasce cosa, recita un proverbio. La creatività ispira la fantasia, sviluppa l’immaginazione, stimola la percezione, arricchisce l’associazione, fa vibrare la fantasticheria. Quando noi pensiamo, tutte queste parole della fantasiologia, chi più e chi meno, sono in circolo. Non sono attività isolate ma complementari.

Fantasticheria (fantasticare)

È la facoltà che m’invita a vagare con spensieratezza tra le immagini della mente e tra le possibilità. È il sogno a occhi aperti. È il gioco del “fare finta che”. Molto più sbrigliata dell’associazione perché non mi chiedo a che cosa mi fa pensare una pallina da basket? ma «Dove mi porta questa pallina da basket?», «cosa diventa per finta?» Mi lascio trasportare dai miei pensieri che s’incrociano con altri pensieri, senza apparente motivo[33]

La fantasticheria è anche quando animiamo un oggetto a fare finta che sia un’altra cosa da ciò che rappresenta. È un gioco che non resiste al confronto con la realtà perché se imitiamo un’automobile con la nostra pallina da basket, quest’ultima non sarà mai obiettivamente un’automobile, un modello di automobile s’intende. Sarà sempre una pallina da basket. Salvo che non dimostriamo questa possibilità, cioè farla diventare concretamente anche un’automobile (ma siamo già nell’esercizio della fantasia).

Per fantasticare basta una parola, un’immagine, un suono, un odore che scatena un ricordo a condurmi altrove, a farmi attivare relazioni anche molti distanti tra loro. Relazioni a me stesso imprevedibili, incontrollabili e talvolta non giustificabili. Posso sembrare molto concentrato durante lo svolgimento di un’attività, specie se abitudinaria, e scoprirmi, al tempo stesso, a pensare ad altro[34].

La fantasticheria è certamente legata all’inconscio (come spesso lo sono le combinazioni provvisorie della fantasia e dell’immaginazione) ma è anche conscia quando chiedo all’altro una complicità affinché stia al mio gioco. Per esempio, quando imito gesti e suoni di un’automobile con una pallina da basket. L’altro, adulto o bambino, partecipa divertito al mio gioco ma sa che quella non è il modello di un’automobile. In breve, chiedo all’altro di credermi, senza dimostrazione. Fantasticare è una fondamentale, complessa, variegata facoltà della mente che mi aiuta a scavalcare il quotidiano (per intravedere in esso delle opportunità eventualmente da concretizzare), a divertirmi, a sorridere di gusto. Secondo l’intensità del fantasticare, di quanto cioè si creda vera una “visione”, si parla di patologia che è un altro tema articolato.

Rendere solide

La fantasticheria è tutto ciò che accade nella mente e che non trova un dialogo comprovabile con la realtà circostante. È quello che rimane nella nostra mente, è il sogno a occhi aperti, il gioco del “fare finta che”. Anche la fantasia e l’immaginazione possono rimanere attività produttive solo nella nostra mente: quando pensiamo a una possibilità, a un’alternativa, possiamo lasciarla correre nella mente senza mai tirarla fuori. Così per un’immagine mentale, che contempliamo solo in noi senza mai preoccuparci di farla vedere a qualcun altro. L’immaginazione e la fantasia, in tal senso, restano nella nostra testa, rimangono intangibili. Sono in molti a intenderle solo in questo senso, a vestirle di intangibilità, e così diventa frequente incontrare nel parlare quotidiano e in testi specialistici frasi come “queste sono fantasie”, “queste sono immaginazioni” a rilevare l’assenza di concretezza che le parole fantasia e immaginazione portano con sé. È indispensabile conoscere, per la nostra educazione ed evoluzione, che fantasia e immaginazione, a differenza della fantasticheria che non avrà mai un richiamo concreto nella realtà se non “per finta”, possono condensarsi nella nostra vita in forme tangibili. Possono cioè rendersi solide, così come nel nostro laboratorio fantasiologico (ndr Vista Gesto Moto 2020) lo sono diventate in una lingua di cane, in un binocolo, in un modello d’automobile, con accessorio. È stata la creatività a definire poi la fantasia e l’immaginazione con un processo tecnico e originale. A dare loro un equilibrio. La creatività non è mai astrazione: nel linguaggio comune è intesa sempre come produzione concreta.  

Realtà (realizzare)

La pallina da basket è reale, parola che «Nel linguaggio della scienza [vuol dire] che ha consistenza fisica, che è un corpo o una sostanza»[35] ma la pallina da basket non esiste, intendendo con questa espressione l’essere in vita[36], la sua presenza biologica.

La realtà è tutto ciò che è indipendente dalla nostra mente, tutto ciò che è fuori di noi e di cui verifichiamo la consistenza con strumenti obiettivi. In questa realtà ci sono forme oggettive (cose) e forme biologiche (vita). La fantasia fonda realtà (cose) e non esistenze (vita) perciò la fantasia è reale ma non esiste.

La lingua di cane che troviamo sulla pallina da basket è reale, la sua rappresentazione è proprio lì, è visibile a tutti, ma non esiste in quanto muscolo dotato di vita. L’ippogrifo nella sua rappresentazione è reale ed è reale anche se io non leggo le sue caratteristiche fisiche nell’Orlando Furioso ma l’ippogrifo non esiste: non ci sono fossili[37].

Il bambino che gioca con una pallina da basket facendola diventare un’automobile gioca con qualcosa che non è (non è un’automobile) e non c’è (non è tangibile). Il suo gioco è irreale poiché egli fantastica. La fantasticheria non ha consistenza fisica. Quando invece crea il modello di un’automobile usando un metodo, come può essere quello descritto nel laboratorio Vista Gesto Moto, allora gioca con la realtà (l’automobile ha consistenza fisica).

Tutto quello che è creato dall’essere umano è reale e in quanto tale conserva le informazioni della fantasia, dell’immaginazione, della creatività, dell’associazione, della percezione, della fantasticheria. Rintracciamo queste facoltà in tutte le creazioni dell’essere umano. Facoltà che compongono in profondità e in superficie la nostra vita individuale e sociale. Se approfondiamo la storia di un’idea o di un oggetto, come per esempio quella della palla da basket, capiamo concretamente il percorso compiuto dalla fantasia, dall’immaginazione e dalla creatività – cito principalmente queste tre facoltà ma il discorso è da estendere a tutte le altre parole della fantasiologia – di chi ha realizzato quell’oggetto perché possiamo indagare quali possibilità sono state considerate e quali escluse; quali forme sono state elette e quali invece messe da parte; quali tecniche sono state usate e com’è stata ricercata l’originalità del gioco. Non è semplice fare questo tipo di analisi/osservazioni nelle cose del mondo e nelle idee ma neppure impossibile. Sostenere che un oggetto sia reale e che più non c’entrino la fantasia, l’immaginazione e la creatività è dare a chi ci ascolta o legge un’informazione incompleta, della realtà e delle facoltà qui descritte.

Nel linguaggio quotidiano si dice che la realtà sia l’opposto della fantasia. Al più c’è contrapposizione tra fantasia ed esistenza mentre fantasia e realtà si completano a vicenda. La fantasia, per la sua polisemia, è frequentemente confinata a qualcosa di indefinito, di inclassificabile, di astratto, di estraneo dal mondo in cui viviamo[38]. Attività fondamentale, si dice spesso in convegni e si scrive in libri e progetti ma in sostanza la fantasia passa nel nostro ordinamento scolastico e universitario, e nella vita quotidiana, perlopiù come attività che presenta gioiose spensieratezze, irrealtà, evasioni dal circostante. È già un bene, si dirà, ma dov’è la fantasia come facoltà del possibile, come strumento di conoscenza per ri-scoprire noi stessi e il mondo? 

Da secoli gran parte dell’umanità si occupa approfonditamente solo di un lato della medaglia (realtà, esistenza, razionalità, logica…) trattando con superficialità l’altro (fantasia, immaginazione, creatività…). Le conseguenze sociali e culturali di quest’atteggiamento sono visibili nella monotonia, chiusura intellettuale e appiattimento emotivo del singolo, specchio egli stesso di una collettività che cerca, rincorre e pratica sempre più la competenza e la competizione e sempre meno il gioco e l’educazione.

Conclusione 

La possibilità è l’ispirazione. Che cos’è l’ispirazione? Wisława Szymborska la racconta così: «L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”. […] due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori situati dentro noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuscola Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so”, sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica in un convitto per signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del Premio Nobel persone dall’animo inquieto perennemente alla ricerca di qualcosa. Anche il poeta, se è un vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”.[39]»

La fantasiologia invita a pronunciare queste due piccole paroline. A capire in che modo leggiamo il mondo e anche in che modo, in ogni istante, ci cade dentro.

Le parole della fantasiologia cercano il modo di farci alzare dalla comodità del nostro divano. Sì, ma per andare dove? «La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni.», suggerisce Gianni Rodari[40].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Massimo Gerardo Carrese

 

Massimo Gerardo Carrese (Thun, 1978) è studioso di fantasiologia. Analizza gli aspetti scientifici, umanistici, ludici e artistici della fantasia, dell’immaginazione e della creatività. Dal 2005 svolge in ambito universitario, scolastico e sociale la professione di fantasiologo, voce riportata nell’Enciclopedia Treccani Online in riferimento alla sua persona e attività.

Svolge attività di consulenza fantasiologica e sul territorio nazionale promuove incontri, lezioni e corsi di formazione per adulti e bambini. Per approfondire la fantasiologia scrive saggi e inventa giochi fantasiologici (linguistici, matematici, artistici, gestuali e musicali) e dal 2017 è ideatore e curatore del Festival Fantasiologico.

Poeta onomaturgo e ludorimico, fondatore del Panassurdismo e di Ngurzu Edizioni, appassionato di arte, di viaggi in autostop, di cinema, di rompicapi è autore di documentari fantasiologici per indagare, con bambini e adulti, i processi mentali e pratici della fantasia, dell’immaginazione e della creatività. Cura una sua rubrica “Grilli per la Testa” su un blog italo – polacco ed è membro del Consiglio Europeo Sviluppo Umano. Dipinge, adotta parole, disegna, spasseggia, fotografa. È anagrammista e musicista. 

 

 

©2018 e 2020 “Per andare dove? Le parole della fantasiologia” è proprietà intellettuale di Massimo Gerardo Carrese.

Per qualsiasi uso si prega di citare la fonte.

Per contatti:

Sito: www.fantasiologo.com

E-mail: fantasiologo@fantasiologo.com

 

 

[1] «La fantasiologia è lo studio critico e analitico degli aspetti scientifici, umanistici, ludici e artistici della fantasia (il possibile), dell’immaginazione (le immagini mentali) e della creatività (la tecnica e l’originalità).  Fantasia, immaginazione, creatività sono le tre parole essenziali della fantasiologia ma per comprenderle a fondo è necessario studiare la percezione, l’associazione, la fantasticheria, la realtà.» tratto dal mio articolo “Fantasiologia” apparso su https://www.fantasiologo.com/massimogerardocarresefantasiologia.html (2018-2020) 

Le sette parole chiave della fantasiologia (percezione, associazione, immaginazione, fantasia, fantasticheria, creatività, realtà) sono complementari. La sequenza proposta in questo scritto ha scopo d’indagine e tenta di mostrare i principali tratti di ciascuna voce. L’intento del saggio fantasiologico non è di esaurire le argomentazioni esposte, affrontate nello specifico in altri miei lavori, ma di stimolare nel lettore un primo pensiero critico riguardo ai temi discussi. “Per andare dove? Le parole della fantasiologia” è stato pubblicato per la prima volta sul blog “ArteCulturaItaloPolacca” il 28/06/2018 e in seguito su www.fantasiologo.com (riscritto e ampliato: settembre 2020)


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