
Ho avuto il piacere di presentare diversi artisti in questo blog e ogni volta ho provato la stessa emozione, compenetrandomi nello spirito dell’autore, nell’assaporare il mistero della creatività che sfugge alla razionalità e alle logiche della cosiddetta normalità. Credo che ogni individuo abbia in sé potenzialità creative, tuttavia, ma anche giustamente, non tutti siamo dotati del talento necessario per poterle esprimere. Nella carrellata delle opere di Vitaliano si può constatare che le modalità e forme espressive della sua arte cambiano a seconda delle stagioni e delle condizioni della sua vita, senza che questo alteri la scrupolosa attenzione per quei dettagli che costituiscono il canale comunicativo con l’osservatore. Dunque, gli occhi che percorrono e che insistono in particolari di incisioni che disegnano e delineano volti, oggetti e paesaggi, sono rapiti dalla forza realistica delle rappresentazioni, trascinando la mente di chi guarda nei contesti narrati e coinvolgendo così la coscienza dell’ammiratore con le emozioni di vite ricordate o inventate in scenari lontani dal presente. Senza dubbio il riverbero dell’infanzia e dell’adolescenza trascorse nei vicoletti del suo paese del sud e del contorno contadino e agreste in cui questa comunità era immersa prima della comparsa delle fabbriche, riaffiora caparbio in ogni fase del suo viaggio. E, dal mio punto di vista, è proprio nelle composizioni che rimandano alle sue radici che l’artista dà il meglio di se stesso, come se all’indiscutibile talento si fondessero l’amore e l’energia della propria anima incarnata in una iconografia fissa e sempre viva nel proprio essere.
Grazie Vitaliano! La tua cittadina e le generazioni che seguiranno ti saranno senz’altro grate per la testimonianza di un’epoca che attraverso la sua povertà materiale , ma dalla grande ricchezza spirituale e morale, ha costruito il benessere di cui godiamo oggi.
Allego, oltre alla presentazione dell’Autore, alcune foto di opere, il link con catalogo in PDF e commenti espressi dai fratelli del Maestro, Bruno ed Antonio.
Congratulazioni da “Arte e Cultura”,
Guido Parisi
Il presente catalogo vuole essere, innanzi tutto, un doveroso omaggio a quanti in tanti anni hanno seguito il
mio percorso artistico, incoraggiandomi ed apprezzando la mia opera.
Certamente non vuole né può essere un’opera omnia
della mia produzione artistica, considerato che sarebbe
stato impossibili riunire centinaia e centinaia di opere,
quasi tutti pezzi unici, disseminate in molte città italiane ed anche europee (come Parigi, Amsterdam, Berlino, ecc.).
Diciamo, allora, che il volume si propone di illustrare
piuttosto i vari periodi artistici che hanno
contrassegnato il mio percorso nel mondo dell’arte.
Un percorso che ha avuto molte fasi, passando dal disegno (ricordo i miei primi disegni da ragazzino, cioé,
quando riuscivo a guadagnare i primi soldi facendo disegni scolastici per i miei amici) per passare
all’affresco, all’olio, alla tempera, all’incisione
La passione si sviluppa nella mia prima giovinezza, restando presto incantato dai quadri dei maestri d’arte
che studiavo a scuola; subito nasce, quindi, l’impulso di
impadronirmi, oltre che dalla loro grande tecnica, dalla
passione che li aveva spinti verso un mondo così interessante.
Capisco subito, però, che, per avvicinarmi a loro, devo
vedere da vicino i loro capolavori, quasi toccarli con
mano, guardarli da angolazioni che la luce o la collocazione mi permette, per scoprire, al di là delle tecniche
pittoriche, cosa si nasconda o si sveli attraverso i colori.
Incomincio a frequentare mostre ed esposizioni, girando, anche con notevoli sacrifici economici, l’Italia in
lungo e in largo: ad ogni grande rassegna dei maestri io
sono presente.
Comincio ad interessarmi anche dei grandi critici d’arte,
come Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Maurizio Calvesi, Achille Bonito Oliva, nonché di Roberto Longhi, sicuramente lo storico dell’arte e collezionista critico d’arte per eccellenza che prima di tutti intuì e rese noti gli
aspetti “moderni” e rivoluzionari della pittura di Caravaggio, il mio pittore preferito (“il creatore di una nuova
plasticità ottenuta con l’ausilio della luce” – come ebbe
a scrivere di lui Longhi). Compro anche decine e decine
di cataloghi di mostre importanti di grandi maestri tanto che ancora oggi conservo circa un migliaio di volumi.
Conosco nei miei “pellegrinaggi artistici” anche grandi galleristi e collezionisti, cercando di rubare anche da
loro impressioni e giudizi più personali sugli artisti che
espongono o che conservano.
Non nascondo che c’è anche il periodo in cui divento “copista” di grandi artisti e mi azzardo a confessare
che vengono fuori anche delle belle copie, ma, appunto, solo copie che non mi aiutano a capire l’anima dei
pittori veri. Cerco, quindi, di rintracciare quello spirito,
passando per varie sperimentazioni dirette che, almeno, mantengono una mia spontaneità e che mi fanno
prendere coscienza del mio valore, che mi mettono in
discussione su quanto faccio
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Le sperimentazioni sono del tutto personali, come personali, spesso, sono anche i materiali usati, come, per
esempio, le matite grasse o altri materiali che sono più
adatti, per esempio, ad essere usati più per il trucco
delle signore che per la rappresentazione di un’opera
d’arte…
Questa particolarità, secondo la mia intenzione, un po’
presuntuosamente, deve far arrivare al pubblico il messaggio che qualsiasi mezzo o artificio impiegato può
rappresentare il senso dell’arte se, logicamente, dietro
il mezzo, c’è l’intuizione, la passione, l’ispirazione che
viene dal profondo dell’animo.
Mi impadronisco, comunque, anche dell’uso dei materiali tradizionali, nonché delle tecniche cromatiche, del senso della proporzione, dell’ampiezza di quanto rappresentato da riuscire a rinchiudere nello striminzito
spazio di un piccolo quadro senza fargli perdere il senso
della spazialità e dell’atemporalità.
Credo, comunque, di aver scoperto la vera essenza
dell’arte specialmente con l’incisione che, devo dire,
coincide anche con il periodo di un mio preoccupante,
progressivo abbassamento della mia vista.
L’incisione, infatti, non ha bisogno di luce, né di colori, mentre, invece, la lastra da “ferire” ti mette “a tu per
tu” con un elemento duro su cui esercitare forza se, non
addirittura violenza, per fare uscire un’anima.
Con la lastra ti sporchi, sia pure metaforicamente, le
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mani, piegandola alla tua idea o, più probabilmente,
come diceva il sommo Michelangelo a far uscire l’opera
o la sua idea che è già dentro il marmo e, nel mio caso,
nella lastra, e che tu, artista, devi solo tirare fuori…
Rivedendo, oggi, tutti questi miei quadri messi in fila
mi danno l’idea di cosa sia stato non solo il mio percorso artistico, ma anche la mia vita, proprio con la riscoperta, ricorrente col passare degli anni, dei luoghi della
memoria impressi nelle lastre, che parlano di volti, di
luoghi, di mestieri, della mia terra, della sua solarità e,
purtroppo, della sua progressiva aggressione ambientale che, potrebbe, però, ancora essere combattuta, riandando con il cuore e con la mente al tempo antico che
ho rappresentato, che sarebbe opportuno, come figli di
quella terra, rivalutare e proteggere.
l’Autore
















Ho sempre pensato che un artista debba essere un buon osservatore ma, anche, che è nella sua mente e nel suo cuore che egli crea la sua opera, mentre le mani sono solo un modesto anche se necessario strumento. Se un’opera d’arte risiede innanzi tutto nel pensiero di chi la concepisce, è un’emozione a generarla come un
miracolo, di cui le origini sono a noi sconosciute, anche
se l’autore sa che questo sta succedendo dentro di lui.
L’artista ci insegna spesso che la vita è breve e per darle
un senso bisogna essere dedicati a qualcosa di elevato,
occorre viverla appieno. Ecco perché dà tutto se stesso
per sperimentare la creazione dell’opera. Dopo l’ispirazione, l’opera d’arte prende forma per sgorgare fuori in modo spontaneo e irrefrenabile. Per raggiungere risultati considerevoli, però, occorre viverla l’arte e per lungo tempo, essere rapiti, sporcarsi con il colore, sperimentare le varie forme, dipingere
per il piacere fine a se stesso, senza alcun tornaconto;
occorre infervorarsi, esaltarsi.
Credo che nessuno sia più ambizioso, per non dire addirittura “superbo”, di un’artista che crea la sua opera,
se è vero come ha detto un celebre critico d’arte, Vittorio Sgarbi, in una sua recente intervista, che “l’arte è la
creazione dell’uomo in competizione con Dio…”.
E certamente chi arriva a mettersi, sia pure inconsapevolmente, in concorrenza con Dio veramente è, oltre
che presuntuoso, temerario. Ecco perché si dice di un
artista, o di un grande artista, che, spesso, è spinto da
un “sacro furore”, quasi a farsi “perdonare”, con quella
sacralità del moto artistico dell’atto, quella sua sfida,
come a tentare di riconciliarsi con Colui con cui è venuto in concorrenza.
Credo, tuttavia, che l’arte di mio fratello, sia pure di
grande impatto sul pubblico, nasca da un atteggiamento molto più umile e contenuto, anche perché più che creare lui è impegnato a ri-creare un vissuto troppo
presto dimenticato.
Vitaliano, infatti, da anni porta avanti un lavoro accanito, profondo, coraggioso, vastissimo, indagando le varie forme espressive della sua arte per realizzare opere
che siano capaci di riscoprire un passato memorabile
per confrontarlo, con emozione e con nostalgia, con un
contesto oggi così tanto mutato.
Ma portare alla memoria momenti, persone, mestieri di
un tempo per lui non è solo un esercizio mentale o una
rievocazione, ma, innanzi tutto, una celebrazione di un
tempo che ritiene possa permeare ancora il nostro presente, offrendoci molti spunti di riflessione.
Questo suo intento si svela compiutamente specialmente nelle sue incisioni: la lastra è incisa, lasciando quasi sgorgare il sudore della fatica del contadino mentre ara i campi col vomere trascinato da una coppia di buoi; quasi si avverte il cigolìo di quello sgangherato
carretto che avanza lentamente trainato da un vecchio asino; riusciamo a sentire il profumo dell’erba appena tagliata o il rumore del vento che culla, piegandole, le spighe del grano maturo…
E poi nei ritratti di tanta gente senti il brusìo festoso e scomposto dei frequentatori dell’osteria dopo una giornata di duro lavoro, mentre in quelle donne anziane, senza età, avvolte nei loro scialli neri, sedute a chiacchierare sull’uscio delle case, puoi ricordare, se non addirittura riconoscere, una tua lontana parente o una vecchia comare. E vedi case diroccate, antichi tratturi e strade sconnesse e il tuo pensiero va alle persone, ai nostri avi che le hanno abitate, o a chi ha percorso quelle strade, quasi ad indicarci ancora oggi la strada giusta da seguire.
Ecco perché lo spettatore, guardando i quadri di Vitaliano, catapultato in quel piccolo mondo antico che non
ha conosciuto o che ha vissuto tanto tempo fa, prova un
forte sussulto nel cuore.
Un artista della memoria, allora? No, o, almeno, non solo; penso, piuttosto, che l’intento di Vitaliano sia sempre stato, innanzi tutto, quello di riportare nel presente il valore delle nostre radici alla base di una cultura contadina che ancora oggi, miracolosamente, sopravvive, rispecchiandosi nella laboriosità, nel senso del sacrificio, nella solidarietà di una comunità che può guardare
appunto al passato per non smarrire il senso di via del
presente.
Bruno Ranucci
Quante volte, guardando le opere di mio fratello Vitaliano, sono rimasto stupito ed affascinato nel vedere
come, con grande maestria e con pochi tratti, egli riuscisse a trasferire su un pezzo di lamiera, su una tela
o su un semplice cartoncino, dei volti, delle figure,
dei paesaggi, che mi riportavano con la mente ai miei
anni giovanili, quando, in estate, dopo la chiusura della
scuola, andavo con i miei compagni in campagna a raccogliere il tabacco o la frutta per guadagnare qualche
soldo per le vacanze.
Incontravamo tanti personaggi che, poi, Vitaliano, da
vero artista, ha saputo riportare nelle sue opere: raccoglitrici di olive, contadini con la schiena curva sotto
il sole cocente, intenti a mietere il grano o ad arare, con
l’aiuto di un misero bove, un campo pietroso.
L’immagine che più mi è rimasta impressa è quella di
un vecchio che, a dorso di un mulo con le some sovraccariche, torna a casa al termine di una lunga giornata di
lavoro:
mi ha ricordato Zì Vitaliano, un nostro vecchio zio che
tutte le sere tornava dalla sua “cesa” sul monte, portando un cesto di fichi o di sorbe che poi vendeva all’angolo
della piazzetta dove viveva.
Tanti personaggi di un mondo passato, ormai, ahimè,
lontano nel tempo, ma, per fortuna, sempre vivo nella
mente di chi, come Vitaliano, ha fatto di queste rimembranze quasi una ragione di vita.
Certo agli occhi di chi, come me, viveva in una lontana
città del Nord ormai da cinquanta anni, questi spezzoni
di vita vissuta sembravano reali, quasi volessero uscire dalle cornice per riprendere una vita propria, come a
voler continuare un’attività mai interrotta.
E allora mi assaliva un grande rimpianto per la perdita
di una gran parte delle mie radici, lontano da quel mondo semplice, fatto di cose genuine, di persone umili ma
straordinarie nella loro carica di umanità.
Devo a mio fratello il piacere e la gioia di essermi avvicinato all’arte: con lui come mentore, infatti, ho visitato i
più importanti musei e pinacoteche d’Italia e di Europa.
Mi ha aperto gli occhi facendomi conoscere artisti e
opere di cui avevo solo sentito parlare, allargando i miei
orizzonti culturali, ma, più ancora, riportandomi con il
cuore a quel mondo che credevo sepolto negli anni.
Di questo gliene sarò sempre riconoscente.
Antonio Ranucci