PER ANDARE DOVE?
breve viaggio esplorativo tra le parole della fantasiologia[1]
Percezione (percepire)
È un processo psichico complesso che mi fa prendere coscienza della realtà, cioè di tutto quello che è fuori da me. Guardo la figura [fig.1].
Mi chiedo: “Che cos’è?”.[2] È una palla da basket. La riconosco. Ne ho memoria. Ne comprendo forma e colore e ne ricordo la dimensione. La percezione mette in contatto l’esterno con il mio corpo e i miei sensi umani (anche quando non conosco la cosa che percepisco).[3] Questa figura è la rappresentazione di una palla che so esistere nella realtà. L’ho vista nei campi da basket, in televisione, nei negozi, in fotografia, a casa di amici e a casa mia.
Associazione (associare)
È la facoltà che mi porta a unire la conoscenza che ho del mondo con il mio modo di sentire il mondo. Guardo la figura e mi chiedo “a che cosa mi fa pensare?”. Al basket. Associare vuol dire mettere insieme A con B ma la connessione che si crea è volta a far risuonare il mio mondo interiore. Non una semplice relazione, dunque, ma un contatto emotivo con il mondo. Guardando la figura penso a quando da adolescente giocavo a basket.
Forse le cose del mondo le guardiamo sempre meno pensando a che cosa siano per noi. Siamo più tentati a leggerle per riconoscimento (che cos’è). Anche se importantissimo al nostro vivere quotidiano e sopravvivenza, il riconoscimento porta più a giudicare (non a guardare!) le cose del mondo sul piano della competenza (che cosa sono e a che cosa servono). L’associazione, invece, attiva il piano emotivo: le cose del mondo, che cosa sono per me?
Immaginazione (immaginare)
È la facoltà che ritiene nella mente le forme.[4] Mi chiedo: “Com’è fatta l’immagine che ho in mente?” Inizio a vedere la palla da basket con gli occhi della mente. Perché con la mente se posso guardarla dal vero? Questa facoltà avviene in assenza[5] (totale o parziale) all’oggetto percepito e mi fa capire in che modo conosco il mondo. Posso dire di sapere che cos’è una palla da basket (percezione) e come risuona in me (associazione) ma come si conserva nella mia mente la sua forma?[6] Con l’immaginazione metto in azione l’immagine nel mio cervello e di essa ne esploro mentalmente le singole parti, le caratteristiche specifiche. A volte queste esplorazioni rivelano immagini nitide, altre volte confuse; reali o fittizie.
L’immagine non è una figura nel cervello ma un’informazione che lo stesso cervello rielabora e che mi mostra come se fosse figura.[7] Se mi concentro,[8] riesco persino a far ruotare nella mia mente la pallina da basket.[9] Riesco a sentire il suono dei suoi rimbalzi. Il colore arancione lo intuisco ma non lo vedo chiaramente mentre sono piuttosto nitidi i piccoli rilievi di gomma sulla sua superficie. La mia personale esperienza mi permette di visualizzarla dettagliatamente ma, in caso contrario, avrei potuto fare delle congetture con ciò che vedevo nella mia mente e sottoporre a verifica la mia immaginazione (con un esperimento fisico, per esempio, o con un gioco di percezione come quello di osservare la palla da basket per “vederla” in seguito con gli occhi della mente e controllarne poi la correttezza con l’osservazione diretta). L’immaginazione non è semplice riproduzione del noto ma l’azione delle forme che conservo nella memoria. Questo vuol dire che la memoria non sistema le informazioni come in un computer (altrimenti non sarebbe degenerativa) ma ogni volta che richiama un’informazione, un ricordo, essa lo ricrea.[10] La memoria è un processo creativo.[11]
Prova a immaginare come sono disposte le linee sulla superficie di una palla da basket (senza guardare la figura). Che disegno geometrico formano? Quante linee ci sono? Fai la stessa cosa con un bicchiere: com’è fatto? Che volto ha il tuo migliore amico? E tua moglie? Il tuo fidanzato?
Fantasia (fantasiare)[12]
È la facoltà che ricombina mentalmente le forme[13] dando a esse delle possibilità.[14] Mi domando “che altro può diventare una pallina da basket?” In questo modo non esploro solo la forma ma apro le porte all’intuizione. Intuire vuol dire “guardare dentro”, dentro le mie risorse culturali e dentro l’immagine che ho in mente per cercare qualcosa che per me ancora non c’è: anche la fantasia, come l’immaginazione, si muove in assenza perché va al di là dell’oggetto percepito. Che cosa tiro fuori dall’intuizione? Possibilità. In che senso? In tutti i sensi. In che modo? Il modo è soggettivo. L’intuizione si può favorire creando ambienti appassionanti ma non si può insegnare: essa si può condividere solo passivamente perché riguarda il risultato ottenuto ma non la scintilla che la mette in moto. La facoltà del possibile è attivata esclusivamente dal nostro vissuto: cultura, educazione, sensibilità, emozione….
La fantasia interrompe una consuetudine perché non guarda più l’oggetto per ciò che è (una pallina da basket) ma pensa a tutto quello che potrebbe essere/diventare. Quando ho un’intuizione, essa non vaga nella mia mente come fosse un fantasma senza trovare una via d’uscita (altrimenti sarebbe una fantasticheria, lo chiarirò più avanti nel testo) ma la mostro a me stesso, agli altri. La dimostro. Come? Facendo relazioni tra tutto ciò che conosco. Più cose conosco più relazioni posso fare (e più intriganti saranno così le intuizioni).
C’è un suggerimento: per esplorare le possibilità devo infrangere la logica, cioè quel modo di comunicare con l’altro che, per esempio, mi porta a dire che A è solo A e che non può essere anche non A. Un bicchiere è solo un bicchiere e non può essere anche un non bicchiere. Non è semplice incidere questo tipo di logica (qualcuno sostiene che sia inutile farlo o stupido perché non porta a niente). A molti intimorisce scardinare questa logica perché così facendo si aprono le porte all’ignoto e l’ignoto spaventa perché imprevedibile. So che cos’è un bicchiere ma un non bicchiere? Che cosa diventa? Forse un portapenne? Un’arma? Un gioco? Una scultura? Se intacco la logica non vuol dire che procedo secondo insensatezza ma guardo il mondo e le cose del mondo da altre prospettive. La fantasia ha una propria logica, fatta di funzioni e attivazioni che dipendono solo dal mio modo di essere. La fantasia non è in conflitto con la logica comune ma è l’altra sua faccia:[15] non è antitesi della realtà[16] (quella, semmai, è la fantasticheria) tantomeno alla razionalità.[17] Nel parlare comune si dice che i bambini, e loro stessi lo affermano,[18] hanno più fantasia degli adulti ma quest’ultima è molto spesso confusa con le caratteristiche che invece sono della fantasticheria….[19]
Questo è il mio esercizio di fantasia. La mia pallina da basket può diventare anche (la congiunzione anche è la chiave di volta della fantasia) un binocolo (senza rompere la pallina…).[20] Sono le linee nere sulla pallina a ispirarmi questa possibilità. La mia intuizione nasce da qui. In particolare, m’ispira la loro posizione e il disegno geometrico che formano. Dunque, con l’aiuto di una pallina da basket posso creare con le mie mani la forma di un binocolo e, più immediatamente, se osservata come in fig. 2,
intravedere la lingua di un cane (tra l’altro, il modello di pallina in figura è quella usata per far giochi con il cane). La lingua di un cane? Da dove nasce quest’intuizione? La parola “pallacanestro” conserva al suo interno la parola “cane” (pallaCANEstro)[21] e così mi sono chiesto se fosse possibile trovare un cane nel mondo del basket non solo sul piano linguistico ma anche su quello anatomico. Sembra una riflessione insensata ma…a ispirarmi, ancora una volta, sono le linee nere della palla da basket. Guardate la pallina in figura, riuscite a vedere la forma della lingua del cane? (in ogni pallina ci sono quattro lingue!).
Che cosa è successo? La mia fantasia qui si muove per analogia e posso condividerla con gli altri. Le linee nere della pallina e la lingua di cane hanno in comune la forma arrotondata (lo spicchio in primo piano in figura), il solco mediano (la linea sulla pallina che divide in due lo spicchio), le papille gustative (i rilievi di gomma sulla superficie della pallina). Il colore arancione della pallina richiama quello rosa della lingua del cane. Quando dico in pubblico che nella pallina da basket c’è la forma della lingua di un cane, le persone che mi ascoltano non mi credono subito (qualcuno mi deride apertamente) ma, poi, la vedono anche loro e allora ridiamo insieme in modo diverso. Adesso, quando penso alla forma delle linee sulla pallina da basket vedo anche la lingua del cane (oltre a un binocolo e a un paio di occhiali). La mia intuizione, solo per il momento, mi ha portato a queste riflessioni.
Nell’individuare la lingua di cane in una pallina da basket c’è in gioco la fantasia e, insieme, la percezione, l’associazione, l’immaginazione, la creatività. La lingua di cane sulla pallina da basket è una possibilità che nasce dalla voglia di scoprire e dal mettere in dubbio il mondo. [22] Una rappresentazione determinata dal caso (quello di avere una pallina di basket tra le mani) e dalla regola (come guardarla). La fantasia non è solo caso ma anche regola. Munari scriveva: «La combinazione tra regole e caso è la vita, è l’arte, è la fantasia, è l’equilibrio».[23]
Creatività (creare)
A differenza della fantasia e dell’immaginazione, la creatività si può insegnare perché è collegata al fare, al metodo progettuale, a un modo. L’immaginazione e la fantasia esplorano in assenza. La creatività in presenza. Principalmente perché è legata al fare con l’oggetto. Creare vuol dire fare.[24] La creatività è un processo solitario ma il risultato è condivisibile con l’altro perché riguarda un metodo. Quando Bruno Munari ci mostra come disegnare un albero, fa vedere il suo metodo creativo; quando Annamaria Testa ci mostra com’è arrivata a pensare uno slogan, fa vedere il suo metodo creativo. Quando Leonardo da Vinci ci mostra la macchina per il volo planato, fa vedere il suo metodo creativo. Quando Carla Lonzi ci mostra Il Manifesto di Rivolta femminile,[25] fa vedere il suo metodo creativo. Quando Jimi Hendrix muove le dita sulla chitarra elettrica, ci fa sentire il suo metodo creativo. Il metodo creativo conserva e rivela le informazioni della fantasia e dell’immaginazione.
La creatività è l’uso finalizzato della fantasia e dell’immaginazione. Mi chiedo: “a che cosa mi serve e in che modo posso creare?”. La creatività sottopone a verifica un’idea e la valuta sul piano economico, sociale, culturale, psicologico. Se ho trovato nella palla da basket una lingua di cane, un binocolo, un paio di occhiali, mi domando: a che cosa mi servono queste intuizioni? Come comunicarle all’altro? Posso impiegarle in ambito didattico o di svago? La lingua di cane, il binocolo, gli occhiali sono riscontrabili su tutte le palle da basket o solo su alcune? In poche parole, la creatività sistema l’intuizione e la forma. È un procedimento interessato a trovare un metodo/modo che unisca elementi noti (pallina da basket, lingua del cane…) al fine di creare qualcosa di nuovo e utile (nel nostro caso, un gioco fantasiologico su come costruire la forma di un binocolo, un paio di occhiali, una veloce guida illustrata, come in fig. 3,
[26] che metta in relazione la lingua di cane e la pallina da basket). Nuovo e utile per me e/o per la società.[27]
Le idee non si generano per grazia ricevuta o dal nulla.[28] Non è chiaro come si formino le idee nel nostro cervello[29] ma sappiamo che una volta attivate, per farle respirare, c’è bisogno di duro lavoro, continuità; coraggio, fortuna – non è secondario il fatto di trovarsi al momento giusto e nel periodo storico giusto! – e acutezza nel saper leggere gli eventi. Il creativo propone qualcosa che nessuno ha mai visto prima. Un’idea o un oggetto, che non ha confronti con il passato. Che non esiste nella storia. «La creatività è rispondere a una domanda che non è stata posta».[30] È lo spirito del tempo a dire se qualcosa è creativo: la storia dell’evoluzione umana è piena di idee scartate perché considerate inutili o folli e poi capite e riprese con entusiasmo o di idee straordinarie su carta ma rivelatesi inutili per l’umanità. In generale, la creatività rompe le certezze acquisite, irrompe nella sedentarietà della cultura. Creatività è progresso (purtroppo non sempre sostenibile o alla portata di tutti, ma questo è un altro discorso). Le persone non amano riequilibrarsi dopo che si sono abituate (talvolta per secoli!) a un modo di fare e alle tradizioni culturali perciò guardano spesso con diffidenza al nuovo perché, appunto, non lo riconoscono e non possono valutarne l’efficacia. Chi investe in creatività (chi?) non punta allo sbaraglio ma elegge la fantasia e l’immaginazione a strumenti di ricerca e di conoscenza, di sé e dell’altro, e non solo come fondamentali attività di svago e di ricreazione.
La creatività si può insegnare mentre si può educare alla fantasia e all’immaginazione, nel senso che è possibile creare condizioni ambientali e culturali utili a “tirar fuori” (etimo di educare) la propria soggettività: si possono stimolare e suggerire percorsi esplorativi di possibilità e azioni scoperte o inventate,[31] ma non le possibilità e le azioni in sé, che avvengono in assenza.
È dal vecchio che nasce il nuovo. È dal noto che si crea l’originale. Da cosa nasce cosa, recita un proverbio. La creatività ispira a sua volta la fantasia, sviluppa l’immaginazione, stimola la percezione, arricchisce l’associazione, fa vibrare la fantasticheria. Quando pensiamo, tutte queste parole della fantasiologia sono in circolo. Non sono attività isolate ma complementari.
Fantasticheria (fantasticare)
È la facoltà che m’invita a vagare con spensieratezza tra le immagini della mente. Molto più sbrigliata dell’associazione perché non mi chiedo “che cosa mi fa pensare?” ma mi lascio trasportare dai miei pensieri che s’incrociano con altri pensieri, senza apparente motivo.[32] Per fantasticare basta una parola, un’immagine, un suono, un odore che scatena un ricordo a condurmi altrove, farmi attivare relazioni anche molti distanti tra loro. A me stesso imprevedibili, incontrollabili e talvolta non giustificabili. Posso sembrare molto concentrato durante lo svolgimento di un’attività, specie se abitudinaria, e scoprirmi, al tempo stesso, a pensare ad altro.[33]
La fantasticheria è senz’altro legata all’inconscio ma la fantasticheria è anche quando chiedo all’altro una complicità affinché creda alle immagini che si formano nella mia mente e di cui parlo senza poter dare diretta dimostrazione. Una mia fantasticheria a tema: penso che l’acqua contenuta nel bicchiere sia la pallina da basket mostrata in figura. In che senso? Posso condividere questa fantasticheria con un disegno, una frase, una scultura per esempio ma essa resta sospesa nel vero, cioè in una visione soggettiva che non ha riscontro nel mondo in cui vivo. In poche parole, chiedo all’altro di credermi senza una necessaria dimostrazione. Altri esempi fantastici: nell’angolo del mio studio vedo un rinoceronte; la mia penna mi sorride; il telefono è un grissino; i papaveri sono mucche; le nuvole sono lacci di scarpe. Fantasticare è una fondamentale, complessa, variegata attività della mente (anche inconscia) che mi aiuta a scavalcare il quotidiano (per intravedere in esso delle opportunità), a divertirmi, a sorridere di gusto. Secondo l’intensità del fantasticare, di quanto cioè si creda vera una “visione” nel mondo in cui viviamo, si parla di patologia, altro tema complesso. La follia è la nostra vicina di casa (e la vicina di casa potremmo essere noi).[34]
Realtà
È tutto ciò che è indipendente dalla mia mente: la pallina da basket esiste anche se io non la vedo, non la sento, non la tocco. La pallina da basket è reale. La realtà di un oggetto, questo mi preme chiarire, conserva in sé tutte le informazioni della fantasia, dell’immaginazione, della creatività. La pallina da basket non è solo un oggetto reale ma è tale perché nasce dal lavorio della fantasia, dell’immaginazione e dalla sistemazione della creatività (nella realizzazione degli oggetti non si escludono neppure le attività della fantasticheria, basti leggere una qualsiasi storia delle invenzioni per scoprire che “i vagheggiamenti” stimolano progettazioni tutt’altro che fittizie). La fantasia e l’immaginazione avvengono in assenza, come abbiamo visto, e si conservano negli oggetti realizzati, cioè di esse c’è traccia nella natura dell’oggetto in sé. È questa loro passività (che non è una brutta parola!) che posso condividere e insegnare ma non l’assenza, che è l’invisibile cuore che fa battere la fantasia e l’immaginazione. Fantasia e immaginazione sono passività: le rintracciamo in tutte le cose create dall’essere umano e perché passività esistono nelle cose in sé e si lasciano vedere e studiare. Se approfondiamo la storia di un’idea o di un oggetto, come per esempio quella della palla da basket, capiamo, concretamente, il percorso compiuto dalla fantasia, dall’immaginazione e dalla creatività di chi ha realizzato quell’oggetto perché possiamo indagare quali possibilità sono state considerate e quali escluse; quali forme sono state elette e quali invece messe da parte; quali usi e questioni culturali prediletti e quali lasciati fuori.[35] Non è semplice fare questo tipo di analisi/osservazioni nelle cose del mondo e nelle idee ma neppure impossibile.
Sostenere che un oggetto sia reale, cioè che esiste in quanto tale e che più non c’entrano la fantasia, l’immaginazione e la creatività è dare un’informazione incompleta, fatta di quella comunicazione necessaria al solo senso comune, perciò sbrigativa e superficiale. Nel linguaggio quotidiano si dice che la realtà sia l’opposto della fantasia. Tutt’altro. Fantasia e realtà sono complementari. Proviamo a togliere “il possibile” dalla realtà che ci circonda. Che cosa ci resta? Niente di quanto creato dall’essere umano. Resterebbe la Natura. Sì, certo, le montagne, il cielo, i laghi….ma non potremmo nominare questi elementi perché senza la fantasia non avremmo la possibilità di combinare lettere per esprimere il nostro pensiero in parole (non avremmo l’alfabeto!). Non potremmo disegnarli. Senza creatività, fantasia e immaginazione non c’è evoluzione né comunicazione. Non c’è l’essere umano.
La fantasia, per la sua polisemia, è frequentemente confinata a qualcosa di indefinito, di inclassificabile, di astratto, di estraneo dal mondo in cui realmente viviamo.[36] Attività fondamentale, si dice spesso in convegni e in progetti didattici. La fantasia, insieme all’immaginazione e alla creatività, passa nel nostro ordinamento scolastico e universitario, e nella vita quotidiana, perlopiù come attività ricreativa, laboratoriale (non curriculare!). È già un bene, si dirà, ma dov’è la fantasia come strumento continuativo per indagare noi stessi e il mondo?
Da secoli gran parte dell’umanità si occupa approfonditamente solo di un lato della medaglia (realtà, razionalità, logica…) trattando con superficialità l’altro (fantasia, immaginazione, creatività…). Le conseguenze sociali e culturali di quest’atteggiamento sono ben visibili nella monotonia e chiusura intellettuale e nell’appiattimento emotivo del singolo, specchio egli stesso di una collettività che cerca, rincorre e pratica sempre più la competenza e la competizione e sempre meno il gioco e la poesia.
Conclusione
Le parole della fantasiologia invitano a capire in che modo il mondo, ogni istante, ci cade dentro. Proviamo a capire che cosa accogliamo di esso. Proviamo a fare quotidiani esercizi di immaginazione, di fantasia, di percezione, di associazione, di creatività, di fantasticheria. Attraverso la scoperta (ampliamento della conoscenza); l’esperimento (prova); la consapevolezza (coscienza di qualcosa); la curiosità (desiderio di rendersi conto di qualcosa); il dubbio (dal lat. dubius, der. di duo ‘due’: cioè una cosa non è solo una cosa ma anche un’altra).
Le parole della fantasiologia muovono dall’ispirazione. Che cos’è l’ispirazione? Wisława Szymborska la racconta così: «L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”. […] due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori situati dentro noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuscola Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so”, sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica in un convitto per signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del Premio Nobel persone dall’animo inquieto perennemente alla ricerca di qualcosa. Anche il poeta, se è un vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”.»[37]
Le parole della fantasiologia trovano il loro più accecante bagliore e senso nell’esperienza vissuta, anche fino allo sfinimento: quella che guarda dritta negli occhi la vita e la morte; che agita quanto crediamo di conoscere bene; che mette in discussione tutto; che turba la quotidianità nostra e di chi ci sta intorno. Quella che ci sveglia con uno scossone dal torpore dell’abitudine. Quella che ci fa alzare dalla comodità del nostro divano. Sì, ma per andare dove? In tutte le direzioni. «La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni.», suggerisce Gianni Rodari.[38]
Massimo Gerardo Carrese
[1] Le parole chiave qui elencate muovono dal principio di relazione, cioè dal “mettere insieme”. Esse si completano a vicenda e si attivano in simultanea, ciononostante ognuna ha una propria caratteristica. La sequenza qui proposta dall’autore ha solo scopo d’indagine e tenta di mettere in evidenza i principali tratti di ciascuna voce
[2] Nel quotidiano non ci poniamo esplicitamente le domande “che cos’è?” (percezione), “a che cosa mi fa pensare” (associazione). Tali formulazioni hanno qui un fine pratico per comprendere il modo in cui siamo di fronte a un oggetto/idea. La percezione e l’associazione, così come la fantasticheria, possono attivarsi anche inconsciamente, dunque senza esplicite domande, benché i risultati siano sempre una presa di coscienza di quanto percepito/pensato. L’immaginazione, la fantasia e la creatività, invece, richiedono una partecipazione sempre attiva da parte di chi fa un’esperienza
[3] Per approfondire, l’autore consiglia delle letture (vale per tutte le note bibliografiche qui riportate). Riccardo Falcinelli, Guardare pensare progettare. Neuroscienze per il design, Stampa Alternativa & Graffiti, Viterbo 2011
[4] Maurizio Ferraris, L’immaginazione, Il Mulino, Bologna 1996
[5] Jean Paul Sartre, L’immaginazione – idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, Milano ed 2007
[6] Durante i suoi recenti incontri di Mi manca un venerdì (si veda l’articolo del 19/3/2018 in rubrica), l’autore ha constatato che proponendo gli esercizi di immaginazione con la pallina da basket, adulti e bambini non riuscivano a comunicarne la forma (posizione delle linee, colore, rilievi di gomma sulla superficie, materiale…) risentendo una forte insoddisfazione durante la descrizione dell’attività mentale. Questo semplice esercizio, fatto attraverso parole o disegni, creava stupore e sconcerto tra i partecipanti che, fino a quel momento, credevano di conoscere bene come fosse fatta una palla da basket
[7] http://www.iapb.it/nervo-ottico
[8] Si veda l’articolo in rubrica “Del tuo stesso apparire” del 9/4/2018 con particolare riferimento alla nota 4 sull’afantasia https://arteculturaitalopolacca.com/2018/04/09/del-tuo-stesso-apparire1/
[9] Stephen Kosslyn, Le immagini nella mente. Creare ed utilizzare le immagini nel cervello, Giunti, Firenze 1999
[10] Gerald Edelman, Giulio Tononi, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Einaudi, Torino 2000
[11] Massimo Gerardo Carrese, Fantasiare e immaginare. Sguardi fantasiologici sul Taburno, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2017
[12] Ibidem. In questo saggio l’autore propone l’uso del verbo fantasiare per indicare le caratteristiche specifiche della fantasia. Usa il verbo immaginare per l’immaginazione; creare per la creazione; associare per l’associazione; fantasticare per il fantastico
[13] Ferraris, op. cit.
[14] Carrese, op. cit.
[15] Edward De Bono, The use of lateral thinking, Penguin, London ed. 1971
[16] Gianni Rodari, Scuola di fantasia, a cura di Carmine De Luca, Editori Riuniti, Roma 1992. cit. pp. 39-40: «Noi spesso siamo vittime di questa opposizione nel discorso familiare, a scuola, nei discorsi comuni, opponiamo spesso fantasia e realtà, come se fossero due cose antitetiche. […] La fantasia non è in opposizione alla realtà. È uno strumento per conoscere la realtà, è uno strumento da dominare.»
[17] Guido Petter, Ragione, fantasia, creatività nel bambino e nell’adolescente, Giunti, Firenze 2010
[18] È in lavorazione un documentario fantasiologico dell’autore in cui emerge più volte, da parte degli stessi bambini, la necessità di sottolineare il loro uso più fecondo della fantasia rispetto a quella degli adulti. Si vedrà nel documentario che il termine “fantasia” ha per i bambini un uso ambiguo e comunque più vicino alla fantasticheria, cioè alla libera evasione mentale dal circostante, anziché forma di esplorazione del possibile https://www.ottopagine.it/bn/agenda/155822/un-documentario-fantasiologico-sul-taburno.shtml
[19] “Il fantasiare nei bambini” in Carrese, op. cit.
[20] Massimo Gerardo Carrese, Come fare un binocolo con una pallina da basket, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2018 https://www.fantasiologo.com/shop/index.php/prodotto/un-binocolo-pallina-basket/ . Durante il laboratorio “Mi manca un venerdì” e in altre lezioni fantasiologiche, mostro numerose possibilità di creazioni a partire dalle linee disegnate su una pallina da basket. Creazioni tutte realizzabili (con metodo progettuale) come un paio di occhiali richiudibili, un’automobile, un elefante, una bocca, un coccodrillo, un osso, un naso….
[21] Massimo Gerardo Carrese, Zoomimetismi. Breve dizionario degli animali a ritroso, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2015
[22] Durante il laboratorio fantasiologico “Mi manca un venerdì”, l’autore chiede alle persone di guardare la pallina da basket come se non l’avessero mai vista prima (si richiama qui l’effetto dello straniamento suggerito dai formalisti russi). I presenti, invitati a giocare con l’immaginazione e la fantasia, scoprono forme e possibilità e iniziano a vedere cose che prima non vedevano e moltissime delle loro “visioni” sono legate proprio alla lingua di cane. Un caso? Una regola? Le cose che rintracciano sono informazioni che conoscono. Le relazioni si fanno tra cose che si conoscono: la forma delle linee (che adesso conosco bene) e la lingua di cane (che probabilmente conosco perché l’ho vista varie volte). Se osservate e praticate con il gioco, le cose rivelano relazioni con altre cose
[23] Bruno Munari, Verbale scritto, Corraini, Mantova ed. 2013 cit. pag. 33
[24] http://www.etimo.it/?term=creare
[25] Scritto nel 1970 con Carla Accardi ed Elvira Banotti
[26] Gioco fantasiologico di Massimo Gerardo Carrese. La fotografia del cane, qui riadattata, è di João Paulo Corrêa de Carvalho da Flickr
[27] Annamaria Testa, La trama Lucente – che cos’è la creatività perché ci appartiene come funziona, Rizzoli, Milano 2010
[28] Sulla creazione dal nulla Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolico), ed. Tea, Milano 2013 pag. 14
[29] Edoardo Boncinelli, Come nascono le idee, Editori Laterza, Roma – Bari 2010
[30] Piero Angela in “Kilimangiaro”, puntata su Rai 3 del 24/6/2018
[31] Per esempio Bruno Munari in Fantasia (Editori Laterza, ed. 2006) mostra le funzioni della fantasia applicate alla comunicazione visiva
[32] Elémire Zolla, Storia del fantasticare, Bompiani, Milano 1964
[33] Paolo Legrenzi, La fantasia, Il Mulino, Bologna 2010. Si veda anche Massimo Gerardo Carrese, “Alfabetario dei Luoghi” https://www.fantasiologo.com/shop/index.php/prodotto/alfabetario-dei-luoghi/
[34] Daniel Nettle, Immaginazione, pazzia, creatività, Giunti, Firenze 2005
[35] Si crea anche per serendipità. https://www.focusjunior.it/tecnologia/invenzioni/le-invenzioni-nate-per-caso-serendipity/
[36] Essa rivela tutta la sua complessità a seconda se è intesa dalla cultura occidentale o da quella orientale. È cosa diversa se analizzata nel Medioevo o nel Novecento. È cosa altra per un aborigeno australiano o per un abitante di New York o di Moncenisio. È diversa da persona a persona appartenenti a una stessa comunità. Inoltre in una stessa lingua, per esempio l’italiano, la parola “fantasia” è sostituita con i sinonimi – inappropriati ma riportati dai dizionari – “immaginazione”, “creatività”, e viceversa. Ancora, la parola “fantasia” è confusa nel linguaggio comune con “fantastico” ma nel genere letterario “il fantastico” è ben altra cosa. Altra difficoltà è riservata alle traduzioni delle parole “fantasia”, “immaginazione”, “creatività”: ogni cultura ne dà un valore e un peso diverso. «[…] Questo crea qualche problema per la traduzione (o, ciò che è in parte lo stesso, per la comprensione) intralinguistica e interlinguistica. Per certi autori, come Tommaso d’Aquino, phantasia e imaginatio sono sinonimi: “phantasia, sive imaginatio, quae idem sunt”; per altri esse si differenziano, a volte, collegandosi la prima a una facoltà più passiva e riproduttiva, la seconda a una più attiva e produttiva, o viceversa. Questa ambivalenza sfocia, nel periodo moderno, in una sistemazione per cui, per designare la facoltà più alta, autenticamente creativa, che sta dietro le produzioni artistiche e letterarie, prevalgono in inglese e francese i termini corrispondenti a immaginazione, e in tedesco e in italiano quelli corrispondenti a fantasia […]» da “Aspetti linguistici del fantastico” di Giulio Lepschy in Gli universi del fantastico, a cura di Vittore Branca e Carlo Ossola, Vallecchi editore, Firenze 1988 cit. pag. 109. Per una lettura parallela: https://www.fantasiologo.com/che%20cos%27%E8%20la%20fantasia.html
[37] Wisława Szymborska, Vista con granello di sabbia, Adelphi, ed. 2016 cit. pagg. 16-17
[38] Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino ed. 2001 cit. pag. 170
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