Gianduia – Giulia Urso

Sembra quasi che tu abbia trovato più umanità dentro il carcere che nella tua vita di tutti i giorni.”

Sapete tutti che cosa è “Gianduia”, vero? Soprattutto chi ama la cioccolata…

Bene, vi siete mai chiesti di che cosa siano fatti in tutte le loro componenti, quegli involucri che contengono i famosi cioccolatini e altri prodotti di marche famose? Non stupitevi, ma spesso sono creazioni dei nostri carcerati. E non solo questo. Tra le tante attività educative che fanno i nostri carcerati c’è anche il teatro che, spesso, rivela talenti inaspettati e sorprendenti.

Il nostro articolo di oggi, scritto in modo magistrale dalla nostra affezionata e preziosa amica Giulia Urso, racconta la sua esperienza in tempi recenti, nel carcere di Parma, nel suo ruolo di volontaria in una pièce teatrale. Nell’in-progress il dare e l’avere amalgamano le anime dei partecipanti e dell’istruttrice arricchendo l’intera compagnia di sentimenti ed emozioni nuove e profondamente coinvolgenti.

Grazie di questa meravigliosa testimonianza, Giulia. E ancora complimenti per la tua bella scrittura.

Gianduia

“Sembra quasi che tu abbia trovato più umanità dentro il carcere che nella tua vita di tutti i giorni.”

Queste sono state le parole di un mio amico dopo una conversazione durata ore sulle stranezze del laboratorio teatrale di sociologia culturale in carcere di cui faccio parte. Ho iniziato quest’esperienza mossa dalla voglia di portare quello che amavo dell’Arte e della cultura tra chi ne aveva incredibilmente bisogno, chi doveva mai dirlo che alla fine sarei stata invece io ad avere bisogno di loro?

Non so bene come definire il mix di sensazioni che ogni giorno mi regala il venerdì, la sveglia alle sei, il gelo delle mattine invernali di Parma, il bus numero 21 e le sue puntualmente poco piacevoli avventure, il cartellino da visitatore, gli incontri, l’imbarazzo di non sapere bene come muoversi in quell’ambiente: posso andare al bagno quando voglio o devo chiedere il permesso a qualcuno? Il cellulare devo lasciarlo fuori? Da dove si va per il metal detector? Come si esce? E tante altre domande che puntualmente rendono noi novellini del luogo uno spettacolo ambulante di imbarazzo e imbranataggine.

Eppure siamo partiti, un po’ in ritardo, con tante incertezze, test sierologici, guardati a vista, ma eccoci! Siamo entrati con passo incerto nell’aula del teatro del carcere di Parma, e lì in piedi, ad aspettarci, con gioia e rispetto, quasi come quando sei a scuola ed entra in classe un professore o un preside, stavano ad attenderci i nostri compagni di laboratorio, i detenuti con cui insieme formiamo il gruppo AS1 (alta sicurezza 1). Quest’attività esiste già da quattro anni, possiamo definirlo un gruppo collaudato, siamo tutti studenti universitari detenuti e non, c’è chi addirittura sta facendo un dottorato di ricerca, siamo tutti scrittori, anime profonde, che con lo studio, la letteratura, la psicologia, la filosofia, cercano di dare forma al mondo e a sé stessi. Entrando in quell’aula non sapevo davvero cosa aspettarmi, ma vedendo quei volti, quei sorrisi, io non riesco ad immaginarmi gli assassini, i mostri, i reietti della società che i telegiornali non smettono di descriverci, non vedo dei nemici temibili da distruggere o allontanare rinchiudendoli in prigioni di cemento e sbarre, non vedo esseri che dovrebbero essere privati della serenità e della vita. Non sono così ingenua da farmi raggirare da un sorriso e delle belle parole, ma la mia percezione ed esperienza con questi “loro”, spesso così distanti dalla nostra vita di tutti i giorni è stata lontana anni luce dalla narrazione a cui sono stata esposta in questi anni.

Ho trovato in carcere dei compagni di corso, dei nonnini, degli zii con cui filosofeggiare, degli umanisti con cui scrivere, dei piccoli attori con cui fare esercizi di scena apparentemente stupidi ma che richiedono uno sforzo immenso per riuscire a tornare indietro nel tempo e dentro noi stessi, dei lettori con cui chiederci come fare a comportarci come la ginestra[1], dei compagni di gioco e di scrittura, con cui realizzare piccole scene e articoli scritti a quattro mani. Ho trovato esseri estremamente umani, che aiutavano il compagno a reggersi in piedi, facendo uno strambo trenino, per sorreggerlo mentre si avvicinava a salutarci timidamente con un tocco di gomito, ho sentito gente del Sud come me, che parlava di come gli mancasse il profumo del mare, i colori della loro Terra e come cercavano di mimare l’azione di nuotare ogni qualvolta gli fosse possibile. Ho visto uomini estremamente legati alla famiglia, alle origini, che mi hanno portato per la prima volta ad interrogarmi sulla mia di famiglia e sulle mie di origini, mi hanno portato a scrivere per la prima volta qualcosa su uno dei miei familiari, ad interrogarmi sul nostro rapporto, a comprendere la natura di alcune dinamiche e a comunicargliele, prima che andasse via.

Oggi siamo tornati nuovamente in teatro, è stata la prima volta dalla chiusura natalizia, alcuni di loro non c’erano ma ci hanno fatto sentire la loro presenza con bellissimi scritti di auguri e poesia, ogni verso richiamava alla bellezza, alla libertà, al mare. Ad un certo punto mentre leggevamo alcune poesie si sente nella stanza un rumore di plastica, viene spontaneo alzare lo sguardo, ci ritroviamo così Andrea, che dalla sua sedia azzurra ci guarda e fa spallucce mentre cerca di aprire un sacchetto di cioccolatini e dice:

– “Faccio il giro, no?”

Così ha iniziato a regalarci i suoi cioccolatini e quando si è accorto che non ce ne sarebbero stati abbastanza per tutti lo vediamo un attimo bloccarsi e con un’espressione dispiaciuta sul viso, è allora che interviene immediatamente Claudio e si rivolge agli ultimi dei nostri che erano rimasti esclusi dal giro di cioccolatini:

– “Ragazzi io ho delle gomme, volete?”

Sono stati due gesti semplici, ma che nella loro spontaneità e luminosità mi hanno regalato uno spaccato genuino di amore umano, lo stesso che vedevo da piccola quando andavo a casa della zia, o dal macellaio, o da quell’amico di famiglia e questi erano pronti in prima fila a offrire a noi bambini le caramelle. Le caramelle per i picciriddi (i bambini), un gesto semplice e affettuoso, per questo bello, perché mi ha fatto tornare a certi momenti ed emozioni così, cariche di sentimenti, nella loro semplicità e spontaneità. Forse mi sono sentita per un attimo di nuovo a nica (la piccola, la piccina).

Così, noi di AS1 siamo una classe, un gruppo di esseri umani che filosofeggia sulle proprie condizioni, su quello che è stato e che sarà, sul bene e sul male fatto, in quell’aula, tra noi, non avvertiamo lo sforzo della nostra pesantezza, i pensieri possono fluire liberi, complessi, incomprensibili, difficili. Ho sempre l’impressione che ci sia dall’altra parte qualcuno desideroso di ascoltarci, di vedere il nostro contributo, di costruire insieme il nostro piccolo gruppo, il nostro spazio comune. Per alcuni può forse sembrare un paradosso ma guardando ognuno dei detenuti che siede su quelle sedie azzurre, vedendo come interagiscono tra loro, con i poliziotti, con noi, con quanta cura e dolcezza ci rivolgono lo sguardo e parole di comprensione, come sono felici di fondere insieme i nostri pensieri, io vedo davvero delle persone che hanno imparato il senso di essere in comunità, che ci mostrano come essere società, che vogliono includerci, vogliono esserci, vogliono integrarci, vogliono ascoltarci, esattamente come siamo, senza dover pretendere di essere migliori, più intelligenti, più ricchi, più scaltri o più corretti. Semplicemente umani. E guardando a loro, al loro modo di ricostruirsi e riscoprirsi così umani, non si può non vedere che un fondamento della giusta direzione in cui questo mondo dovrebbe andare. In cui dobbiamo cercare, con tutte le nostre energie, di farlo andare. Guardiamo chi ha dovuto per forza fare tanto lavoro sulla propria persona e ha dovuto rimettere in discussione il proprio concetto di società, guardiamo ciò che hanno appreso loro e prendiamo appunti su cosa fare, per riscoprirci comunità, per essere società.


[1] Riferimento ad uno dei testi letti durante il laboratorio, Respirare accanto ad una Ginestra, di Franco Arminio: “Noi ora abbiamo un compito importante. Dobbiamo fermare l’isteria di questo mondo. È assurdo alimentarla. Dobbiamo affermare con fermezza la nostra verità senza esporla al giudizio dell’attimo. Dobbiamo dare fiducia agli anonimi e agli sconosciuti. Andare a scuola dai silenziosi, dagli appartati. Non possiamo stare accanto a chi vuole rubare il nostro fiato per fare spazio al suo. Andiamo a respirare accanto ad una ginestra, lei non partecipa alla rissa”.

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